SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL: al via la mobilitazione del settore TLC
A rischio 20.000 posti di lavoro diretti e migliaia negli appalti
Il settore delle Telecomunicazioni è arrivato ad un bivio drammatico. Le contraddizioni che il
sindacato confederale unitariamente denuncia da anni, in solitaria e senza la giusta attenzione delle
Istituzioni, stanno esplodendo con una veemenza che rischia di impattare pesantemente sull’intero
perimetro occupazionale del settore.
È giunto il tempo di contrastare, con forza, una deriva che rischia di affossare il comparto, avviando
un percorso di mobilitazione che interessi tutte le lavoratrici e i lavoratori del settore.
Il modello economico assunto ha prodotto, nell’ultimo ventennio, dinamiche completamente
sbagliate. Il settore delle telecomunicazioni, in tutti i paesi tecnologicamente avanzati, è uno dei
pochi comparti ancora in grado di coniugare occupazione di qualità nonostante la fase di grande
difficoltà che tutto il continente attraversa. In termini di risultati economici, volendo comparare le
performances 2022 delle Telco europee rispetto al mercato italiano, si evidenzia un quadro con
qualche sofferenza nell’intero Continente, ma di certo non paragonabile a quanto avviene nel Paese.
Un mercato che brucia oltre un miliardo di ricavi l’anno, con un lento e inesorabile “stillicidio”
occupazionale, che nell’ultimo decennio ha praticamente dimezzato la forza lavoro dei maggiori
gestori italiani.
Sul versante occupazionale, infatti, il settore è stato caratterizzato negli ultimi 15 anni dal continuo
ricorso ad ammortizzatori sociali, esodi incentivati, tagli nella contrattazione aziendale, perdite di
professionalità importanti, e blocco pressoché totale del ricambio generazionale. La ricetta messa
in campo, di recente, dalle principali Telco per gestire gli effetti di un mercato deregolamentato, è
quella di dividere l’industria (le infrastrutture di rete) dai servizi. Una impostazione miope che
impoverirà ancor di più il settore, trasformando aziende leader del comparto TLC a meri rivenditori di
servizi, i cui azionisti di riferimento non sono neanche italiani.
Questa prospettiva preoccupa fortemente, in particolar modo per quanto riguarda le società che
rimarranno senza infrastrutture di proprietà, e con ancora un saldo occupazionale importante. In un
contesto di mercato ipercompetitivo, le aziende, per poter sostenere questo modello, dovranno
continuare a rivedere al ribasso la struttura dei costi, andando a colpire inesorabilmente il costo del
lavoro, generando una conseguente continua riduzione dei perimetri occupazionali. Estremamente
preoccupante la condizione di TIM, in un modello così definito, tenuto conto dell’impressionante
mole debitoria che grava sull’azienda per circa 23 miliardi di euro. Da anni il Sindacato chiede di
aprire un confronto con le Istituzioni relativamente alla situazione dell’ex monopolista, e da anni
sistematicamente l’unica risposta è l’imbarazzante silenzio dei vari esecutivi, che preferiscono
sfuggire al problema anziché provare a trovare quelle soluzioni che garantiscano al Paese la
possibilità di avere un soggetto nazionale di riferimento, così come avviene in tutti i principali paesi
europei.
La situazione non è migliore nel comparto dei customer in outsourcing, già storicamente in affanno,
con le aziende più rappresentative impegnate a ricercare soluzioni ai mali atavici del settore,
minacciando ad ogni rinnovo, l’uscita dal contratto delle Telecomunicazioni.
Una ulteriore scelta miope e senza una visione prospettica. Ridurre salari e diritti delle lavoratrici e
dei lavoratori non metterebbe in sicurezza il settore dalle politiche “ribassiste” della committenza. In
assenza di una legge sulla rappresentanza, o di un intervento governativo che stabilisca il contratto di
riferimento, ci sarà sempre chi troverà un contratto dal costo inferiore per poter offrire ulteriori
ribassi, o ancora, alternative peggiori quali il ricorso all’offshoring.
Nonostante le importanti conquiste ottenute dal Sindacato confederale (la legge sulla “Clausola
sociale” per gestire i cambi appalto, le tabelle ministeriali per il costo del lavoro minimo), ancora oggi
troppi committenti, a cominciare dalla pubblica amministrazione, ricorrono a fornitori che applicano
contratti “pirata” che generano esclusivamente abbattimenti di salario e riduzioni diritti per le
lavoratrici ed i lavoratori. Non è più rinviabile per questo settore stabilire il contratto di riferimento,
così da impedire questa rincorsa verso l’abisso.
È questa la vera battaglia da sostenere a tutela dell’intero settore Crm/Bpo!!!
Nello scenario descritto, le Istituzioni non stanno svolgendo alcun ruolo regolatorio, nessun
intervento strutturale che possa dare stabilità al settore rilanciando un asset strategico per il sistema
paese e tutelando oltre 120mila addetti che operano nel variegato mondo delle telecomunicazioni.
Da mesi va avanti un “surreale” tavolo tecnico presso il Ministero delle imprese e del made in Italy,
nel quale è completamente assente la voce dei rappresentanti dei lavoratori, e dove si fatica ad
immaginare di cosa si dibatta. Fra un’audizione e l’altra TIM, anche grazie all’offerta formalizzata da
Cassa Depositi e Prestiti, si avvia velocemente a spezzare in maniera definitiva l’unicità dell’azienda;
Vodafone chiede una riduzione dei costi pari al taglio di circa 1000 posti di lavoro, il 20 per cento
dell’attuale forza lavoro; Windtre ha ufficializzato la vendita dell’infrastruttura di rete imboccando
una strada sbagliata e piena di incognite occupazionali, British Telecom ed Ericsson hanno
formalizzato, anche loro, eccedenze.
Ogni anno fallisce un importante soggetto fra i call center in outsourcing, mentre quelli che
rimangono non riescono a garantire alcuna stabilità occupazionale ed economica, ricorrendo
quotidianamente ad ammortizzatori sociali.
È evidente quanto il modello industriale del settore sia sbagliato. La parcellizzazione dell’ex
monopolista non migliorerà la situazione, anzi il Paese sarà privo di un campione nazionale che
dovrebbe stabilizzare il comparto evitandogli di ridursi ad un “emporio” di sole vendite, per altro a
prezzi sempre più stracciati.
Ormai è chiaro che il progetto Minerva, col quale si era presentato l’attuale Governo, si è consumato
come una scatola di omonimi fiammiferi. Da oltre un decennio il Sindacato confederale, tenuto conto
dei modelli applicati in altri paesi d’Europa che hanno permesso sviluppo ed investimenti, ha
suggerito e sollecitato il mantenimento del ruolo di incumbent per l’ex monopolista del settore.
Purtroppo, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non hanno mai ritenuto di dover
difendere questa posizione con le autorità europee, tollerando almeno due pesi e due misure,
condannando alla depauperazione infrastrutturale e tecnologica l’ex monopolista. Una politica che ha
condannato il Paese agli ultimi posti in Europa in termini di qualità della connessione offerta alla
propria cittadinanza.
Il combinato disposto di politiche aziendali miopi, legate a scelte finanziarie senza alcuna visione
industriale, e la totale assenza delle istituzioni, che hanno consegnato al mercato il ruolo regolatorio, non farà altro che accompagnare il settore ad un inesorabile ridimensionamento. Il futuro che si
prospetta, in assenza di una netta inversione di tendenza, sarà la creazione di micro-gestori virtuali,
con scarsissima occupazione e infrastrutturazione tecnologica azzerata.
È tempo che ciascuno assuma le proprie responsabilità. Il settore delle TLC deve tornare ad essere il
motore attivo della transizione digitale del Paese, deve rinnovarsi ed attrarre nuovi talenti.
Al contempo, bisogna puntare alla ri-professionalizzazione di migliaia di lavoratrici e lavoratori verso i
nuovi mestieri di cui un settore in costante evoluzione necessita. Ancor più necessaria risulta questa
riconversione nel mondo dei customer, dove, a causa degli effetti dell’avanzamento dei processi di
digitalizzazione, migliaia di attività rischiano di esser superate dalla gestione dell’uomo!
Non è più rinviabile l’innalzamento della qualità dell’occupazione del settore, mettendo le persone
nelle condizioni di cogliere la sfida della rivoluzione tecnologica in corso. Solo così si migliorano le
condizioni di lavoro e si garantisce un futuro lavorativo alle persone.
Occorre, con fermezza e determinazione, dire BASTA a tagli dell’occupazione e dei salari.
BASTA gestioni che non fanno gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori del settore e men che mai
del Paese, ma solo quelli di fondi di investimento o gruppi finanziari esteri.
BASTA ad essere confinati come fanalino di coda dell’Europa nella strategica rivoluzione digitale in
corso.
Sono a rischio reale oltre 20.000 posti di lavoro diretti nel solo perimetro delle Telco, senza calcolare
gli effetti che saranno generati nell’intero sistema degli appalti del settore, sia per quel che concerne
l’impiantistica, la manutenzione, l’installazione delle reti sia fisse che mobili, che per il settore
dell’assistenza clienti nella sua interezza.
Contro un modello industriale sbagliato, contro la miopia delle aziende e l’assenza di lungimiranza
dei Governi nei confronti di questo settore fortemente strategico, SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL
nei prossimi giorni apriranno le procedure di raffreddamento, nel corso delle prossime settimane
convocheranno attivi per preparare le assemblee in ogni luogo di lavoro in vista delle iniziative a
difesa dei lavoratori, per arrivare alla mobilitazione di tutto il settore.
Riprendiamoci il futuro!
MARTEDI' 6 GIUGNO SCIOPERO DI TUTTO IL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI PER L'INTERO TURNO DI LAVORO